La prova della qualità di erede e il valore da attribuire alla dichiarazione di successione

Cass. Civ., Sez. VI-2, sentenza del 16 gennaio 2017 n. 868

Sul valore da attribuire alla denunzia di successione, come correttamente evidenziato dai ricorrenti, la sentenza di questa Corte (Sez. 2, n. 13738 del 27/06/2005 Rv. 581423) – che i giudici di merito hanno richiamato per confermare il rigetto della domanda sotto il profilo della legittimazione – ha affermato il diverso principio secondo cui in tema di “legitimatio ad causam“, colui che promuove l’azione (o specularmente vi contraddica) nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto (nella specie rivendicazione della proprietà) deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all’onere di cui all’art. 2697 cod. civ., del decesso della parte originaria e della sua qualità di erede, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (o a contraddire); per quanto concerne la delazione dell’eredità, tale onere – che non è assolto con la produzione della denuncia di successione – è idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss cod. civ.. D’altra parte, con riguardo all’accettazione dell’eredità, poiché ai sensi dell’art. 476 cod. civ. l’accettazione tacita può desumersi dall’esplicazione di un’attività personale del chiamato incompatibile con la volontà di rinunciarvi, “id est” con un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale, l’accettazione è implicita nell’esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che – essendo intese alla rivendica o alla difesa della proprietà o ai danni per la mancata disponibilità di beni ereditari – non rientrano negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall’art. 460 cod. civ., sicché, trattandosi di azioni che travalicano il semplice mantenimento della stato di fatto quale esistente al momento dell’apertura della successione, il chiamato non avrebbe diritto di proporle e, proponendole, dimostra di avere accettato la qualità di erede.

E quanto al valore da attribuire alla dichiarazione di successione, e, sempre con la citata sentenza 13738/2005 – in parte motiva – questa Corte afferma che essa, sebbene non comporti ex se l’accettazione tacita dell’eredità, in quanto atto preordinato a fini essenzialmente fiscali, non di meno, in presenza d’un’attività costituente prova d’accettazione implicita, a sua volta assume valore d’elemento indiziario che nella prova stessa trova supporto ed al contempo nel medesimo senso la rafforza.

Erra pertanto la Corte d’Appello a negare sic et simpliciter qualsiasi valore probatorio alla denunzia di successione, senza porsi minimamente il problema del valore indiziario che invece il documento certamente possedeva se rapportato non solo all’altra documentazione pure prodotta (certificati di morte e di stato di famiglia), ma anche ad un atto di accettazione tacita, quale è l’azione proposta, quali eredi, per conseguire l’equa riparazione spettante ai loro danti causa per il paterna da essi subito (l’azione di equa riparazione, come è evidente, travalica il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente all’atto dell’apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell’asse e dunque rappresenta una iniziativa che il chiamato come tale non avrebbe il diritto di proporre (v. art. 460 c.c.) e pertanto, proponendola, implicitamente dimostra d’aver accettato la qualità d’erede.

A ciò aggiungasi – e con ciò il discorso può chiudersi definitivamente – che secondo altro principio, la parte che abbia un titolo legale che le conferisca il diritto di successione ereditaria – come la vedova del “de cuius”, che è erede legittima e legittimaria – non è tenuta a dimostrare di avere accettato l’eredità, qualora proponga in giudizio domande che di per sé manifestino la volontà di accettare (v. Sez. 3, Sentenza n. 21288 del 14/10/2011 Rv. 619967): il principio, riferito alla parte che vale naturalmente anche per i figli i quali si trovano nella medesima situazione, cioè nel possesso di un titolo che conferisce il diritto di successione ereditaria.